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«Sono libera di esprimermi a 360 gradi e di andare per strada in qualunque condizione io sia»

di Veronica Dessì*

Dal 1999 esiste una giornata contro la violenza di genere, e ricorre il 25 di novembre; una giornata simbolica, per la quale tutti gli Stati membri dell’ONU sono chiamati a partecipare in qualche modo. Però, in effetti, questa giornata neanche dovrebbe esistere. Non dovrebbe esistere perché per ogni donna rimasta vittima da parte del suo compagno, c’è una sconfitta da parte nostra. C’è una vita umana che svanisce, si annulla, un pezzetto di mondo scompare per sempre. Ma nonostante questo, il sole continua a sorgere lo stesso anche se lei non c’è più; e non importa che abbia 15, 20, 30 o 70 anni: il mondo va avanti, the show must go on. 

Le radici di questo problema risalgono agli albori della civiltà, le motivazioni sono tante e hanno a che fare con l’evoluzione della società stessa: perché sin da piccoli i bambini e le bambine vengono distinti e ad ognuno di loro vengono impartiti dei valori, i valori “maschili” e i valori “femminili”. I maschi sono forti, non piangono mai; i maschi devono giocare con le macchinine, vestirsi di colori scuri, seguire il calcio, non perdersi a guardare un tramonto in riva al mare. Le femmine invece devono vestirsi con colori pastello, essere aggraziate, servizievoli, giocare con le bambole, essere umili ed educate come delle “signorine”! Ci è stato impartito che le donne debbano sottostare all’uomo in qualche modo, debbano esserne quasi l’antitesi: contrastare un uomo forte e rozzo con una presenza femminile più delicata ed aggraziata. Le donne sono legate agli uomini, sono subordinate ad essi secondo la società. Le donne sono sensibili e deboli caratterialmente, sono sentimentali; quante volte abbiamo sentito espressioni come “questa è roba da donne”, “non fare la femminuccia!”, “innamorarsi come una ragazzina” e chi più ne ha più ne metta. La donna si innamora, l’uomo deve essere invece un rude predatore; la donna è una conquista. 

Tutt'oggi nel 2018 ad alcune di noi ragazze capita di ricevere messaggi o sentirsi dire frasi dai nostri ragazzi del calibro di: “Sei roba mia”, “sei mia”, “guai a chi ti tocca”. Anche a me è successo. Ebbene, questo NON è amore; NON è tenerezza o premura, è ingabbiare una persona e oppressione. Il 25 novembre non è solo una data simbolo contro il femminicidio: lo è anche contro gli abusi sessuali, gli stupri, le relazioni tossiche, le discriminazioni di tipo sessuale. Perché io donna devo guadagnare meno di un mio collega uomo? Perché se ho una posizione importante al lavoro, mi devo sentir dire frasi riferenti a mie relazioni sentimentali col mio superiore e non ad un mio ipotetico merito? Chi lo ha detto che devo truccarmi o che devo truccarmi di meno? Chi lo ha detto che non possa uscire a certe ore della notte a differenza di mio fratello? 

Sono passati quarant’anni da quando è stato girato il documentario “Processo per stupro”, realizzato da sole donne, il quale raccontava lo svolgimento di un processo nei confronti di due uomini accusati di stupro verso una 17enne; questo documentario andò in onda in televisione su Rai1 e sconvolse l’opinione pubblica, perché per la prima volta si parlava di violenza di genere apertamente su un’emittente televisiva. Era il 1978 e, come si può facilmente immaginare, quanto accadde in quel tribunale non fu tanto equo; gli avvocati difensori degli imputati attaccarono apertamente la vittima sostenendo che “se fosse rimasta a casa, sotto al focolare, questo non sarebbe successo!”. 




Eppure, tutt’oggi la mentalità è la stessa. Se non si fosse vestita in quel modo. Se non si fosse messa lo smalto rosso. Se non si fosse ubriacata. Se fosse rimasta a casa. Se non si fosse truccata. E poi, se cammini da sola in strada alle quattro di notte poi non pretendere. Ne sento di tutti i colori in giro, e mi rendo conto che il mondo non è cambiato. Parliamo di difendere “le nostre donne” da ipotetici criminali extracomunitari quando poi lasciamo a piede libero quelli italiani; parliamo di radere al suolo i campi rom quando in molte case italiane c’è una donna che viene picchiata, vessata, umiliata e privata della sua felicità. E quella donna potrebbe essere una nostra amica, nostra mamma, nostra sorella; quella donna potremmo essere noi. 



Io, se lo desidero, cammino alle quattro di mattina per strada con addosso un miniabito e ai piedi un tacco 12, con i capelli sistemati e il rossetto rosso e lo smalto alle unghie; e in quella strada se mi va ci cammino anche da ubriaca o da fatta, perché io sono libera di esprimermi a 360 gradi e di andare per strada in qualunque condizione io sia. Se sono gentile con te, uomo, se sono vestita attillata e se siamo da soli, non ti autorizza a violare il mio corpo, perché nessuno di questi fattori indica un mio consenso ad avere un rapporto sessuale con te. Se io esco in pantaloncini non ho una scritta al neon in fronte che indica “Ehi, stupratemi!” Se fumo una canna non sono una tossica che se le va a cercare. Cosa dovrei cercare esattamente? L’intelligenza di chi pensa queste cose? E dove sta scritto che io debba aver perso la verginità entro i 20 anni? Mica sono uno yogurt con la data di scadenza. Però se si viene a sapere che una ragazza a 15 anni non è più vergine, allora viene etichettata come “facile”.



 Quanti commenti a sfondo sessuale noi donne abbiamo ricevuto, quanti sguardi molesti, quante frasi sgradevoli e quanti pregiudizi dobbiamo affrontare! Ma non dobbiamo piegarci davanti a tutto questo, perché le cose cambiano solo se agiamo. E allora impariamo a denunciare subito un’ingiustizia, non dobbiamo avere paura di andare in questura, di non essere credute o giudicate, perché la gente parla e lo farà sempre a prescindere! Non siamo condannate a stare con quella persona, colui che dovrebbe amarci ma non lo fa, colui che ci tempesta di messaggi, colui che ci picchia, ci insulta e si sfoga su di noi senza alcuna pietà; lui che ti controlla il telefono e mina alla tua libertà, che storce il muso se hai amicizie maschili, lui che quella volta “per sbaglio” ti ha tirato i capelli. Lui, lui non ti ama! Però noi dobbiamo amare noi stesse, dobbiamo scegliere noi stesse e stare bene. Melania, Sarah, Yara, Elena, Pamela, Desireé, Noemi, sono tutti nomi di chi non ce l’ha fatta. Ebbene noi dobbiamo farci giustizia, anche per loro. Dobbiamo festeggiare l’amore in tutte le sue forme partendo dal condannare quelle più sbagliate e terribili. Il 25 novembre è una data importante anche per questo.

*studentessa 1ª liceo classico
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