Entrai in quella specie di casa. Faceva freddo, ma ero sudata per la tensione. Erano in due a spingermi. Mi facevano perdere l’equilibrio ogni volta che cercavo di cambiare direzione. Un robusto fazzoletto grigio mi copriva gli occhi, impedendomi di vedere. Improvvisamente, sentii che al mio fianco non vi era più nessuno: i miei rapitori mi avevano lasciata sola, in piedi, con le mani legate. Provai a camminare, cercando una parete su cui poggiarmi, procedendo a passi lenti e stentati. Passi pieni di terrore. E il tempo sembrava non scorrere mai. Finalmente giunsi a un muro. Iniziai a muovermi per capire cosa ci fosse intorno al mio corpo, in quel buio totale. Stanca e spossata, provai dunque a sedermi. Non so quanto tempo passò nel silenzio, ma poi accadde: la stanza prima vuota si riempì di agghiaccianti rumori e avvertii di nuovo la presenza di qualcuno attorno a me. Qualcun altro mi slego delle corde e mi placcò contro il muro. Urlai. Nessuna risposta. La paura era tanta, potrei giurare di aver sentito l’odore della morte. Con la faccia contro il muro dal lezzo stantio piangevo per il nervoso. Di nuovo ricominciò la violenza. Delle forti braccia mi presero e mi trascinarono in mezzo alla stanza e fu lì che mi accorsi che la stessa corda che prima mi legava i polsi, ora li univa anche al mio collo, facendo sì che qualsiasi movimento di tentata libertà fosse in realtà un altro passo verso la fine. Continuai a urlare, nonostante stessi soffocando, nonostante la voce mi stesse persino abbandonando. Improvvisamente, tutto finì con un eterno cadere nel vuoto. “Come tutti i sogni”, mi ritrovai a pensare con un sorriso. Ma quando schiusi gli occhi non vi era luce ad attendermi: vi era solo buio; e la corda era ancora tanto stretta da non permettermi di respirare. Cosa succedeva? Era un incubo? O era realtà? Aiuto.
Aleana Percivalle, Vox 2011, titolo originale "Paura"
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